Abbiamo intervistato il Direttor Generale dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, uno dei prestigiosi docenti del corso ITS BACT per il progetto NECTAR

Dopo una fase orientata esclusivamente alla didattica, gli allievi del corso di Chef di Cucina Salutistica della Fondazione ITS BACT hanno iniziato anche le attività pratiche tra il Laboratorio di Cucina e lo Stage presso l’impresa ristorativa Safigi.  Il corso, sviluppato nell’ambito del progetto N.E.C.T.A.R. finanziato da Erasmus + , vede la sperimentazione in Austria, Belgio, Portogallo e Italia (con la Campania e la Liguria) di un intervento formativo per una nuova figura professionale che si sta affacciando in Europa, lo Chef Gastro Engineer, una figura orientata a una cucina ispirata ai criteri di nutrizione personalizzata, equilibrata e sostenibile, che coniuga l’ambito enogastronomico con quello sanitario per lavorare nella primary food care.

Scopriamo come stanno andando le attività formative nell’intervista a uno dei prestigiosi docenti del percorso, il dott. Antonio Limone, storica guida dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, ente sanitario di diritto pubblico che riveste un ruolo fondamentale nell’ambito della sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare, colonna portante nelle principali emergenze di sanità pubblica. L’intervista, fatta al termine di una delle lezioni del corso all'ISIS Giustino Fortunato di Napoli, ci restituisce anche interessanti spunti sul ruolo della Dieta Mediterranea e degli attori coinvolti nella filiera per garantire la salute e il benessere dei consumatori e la tutela del patrimonio alimentare della Campania.

 

 

Dott. Limone, ci può aiutare a raccontare cosa fa nello specifico uno Chef di Cucina Salutistica? E quali sono gli sbocchi lavorativi?

“Lo Chef di Cucina Salutistica è l’alfiere della sua terra e si rende interprete della qualità dei suoi prodotti alimentari. Noi siamo la Campania Felix perché abbiamo una straordinaria condizione di biodiversità dovuta ai terreni vulcanici, all’incidenza dei raggi solari sul suolo, alle condizioni pedoclimatiche. Quando Feuerbach diceva “L’uomo è ciò che mangia” non aveva forse neanche consapevolezza di quanto era vera la sua affermazione. Oggi ne abbiamo l’evidenza scientifica. Mangiare sano con prodotti del territorio di un’elevata qualità e salubrità modifica il microbiota apportando maggiore benessere. Uno Chef salutistico che vuole interpretare la qualità di un prodotto si preoccupa di cercare materie prime di alta qualità e trasformarle nel miglior modo possibile, evitando con consapevolezza impatti che possano modificare questa condizione dei cibi campani che sono funzionali, nutraceutici e nutrienti".

La cucina, specialmente nel nostro Paese, richiama subito concetti quali piacere, gusto e tradizione, ma anche la consapevolezza che il cibo significa prevenzione, cura e conservazione della salute. Come la Cucina Salutistica si affianca alla Dieta Mediterranea per aiutare le persone a ridurre il rischio di malattie croniche come l'obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari e il cancro?

È provato scientificamente che la Dieta Mediterranea, tra tutte quelle messe in campo come quelle vegane, chetogeniche, proteiche o che fanno a meno di altri prodotti, è la più valida per le sue caratteristiche. Non ha un grande impatto ambientale, nella logica della sostenibilità: ad esempio, non è particolarmente esigente di proteine nobili, che richiedono una elevata quantità di acqua per essere prodotte, a differenza dei legumi e ortaggi. Mangiare i prodotti della Dieta Mediterranea preserva la salute, inducendo inferiore quantità di malattie croniche, degenerative e oncologiche. Un presidio di salute garantito anche dallo stile di vita e dalla socialità della Dieta Mediterranea".

La Decade di azione ONU sulla nutrizione, nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sta rappresentando un’opportunità per ottenere un impatto sulla nutrizione intersettoriale per consolidare e allineare azioni per una visione collettiva di un futuro più salutare e sostenibile, dove tutti indipendentemente dall’età possono avere accesso a diete salutari, variate, economicamente accessibili e sicure. La Decade è uno sforzo collettivo globale. In che modo il programma di lavoro sta trovando riscontro in Campania?

“Noi ci stiamo lavorando da anni, e ultimamente questo sforzo si sta diffondendo sempre più. Oramai è una stata evitabile. È evidente che l’Agenda 2030 abbia un’impronta più green. Noi ci stiamo ponendo il problema di come tutelare la risorsa acqua e come garantire l’ambiente ma anche la salute, un binomio imprescindibile. L’Europa sta invocando maggiori provvedimenti in questa direzione. La Regione Campania può percorrere in maniera concreta questa strada attraverso questi step: rendere identificabili i cibi della Dieta Mediterranea, e informare i cittadini dei benesseri che apportano alla salute cibi che contengono ad esempio Omega 3, Omega 6 e antiossidanti;  indirizzare le piccole produzioni locali per anteporre la qualità alla quantità;   le produzioni devono essere rese sostenibili; valorizzare le qualità dei nostri terreni vulcanici, dei raggi solari e delle condizioni pedoclimatiche idonee. Questi tempi di forti cambiamenti climatici impongono uno sforzo collettivo, non più rimandabile, che mette insieme consumatore, produttore, territorio, agricoltura di precisione”.

Per poter soddisfare la crescente domanda riguardante la prevenzione e la cura della persona attraverso l’alimentazione, e per divulgare l’importanza dell’alimentazione da un punto di vista salutistico per la prevenzione e il corretto stile di vita, ritiene sia utile ripetere interventi formativi come questo pilota di NECTAR per formare una nuova figura di alta professionalità?

 

“L’approccio alla conoscenza della qualità del territorio e del cibo e dei processi fisiologici che oggi derivano dall’assunzione di un cibo più sano deve essere imposta a tutti coloro che lavorano nel cibo. Nella formazione, forse, abbiamo perso anche un po’ troppo tempo. Dovevamo rendere consapevoli i nostri chef, i nostri cittadini, i nostri produttori e contadini della pregiatezza, della prelibatezza, della biodiversità e della qualità delle nostre produzioni. Noi non possiamo andare verso una sovranità alimentare così come viene definita adesso, senza avere questa consapevolezza. Noi abbiamo cento varietà di pomodori, cento varietà di ortaggi, mille varietà di agrumi, abbiamo tanti vigneti diversi, tanti salumi e formaggi diversi: ogni territorio della nostra regione ha una sua peculiarità, una sua identità e una sua tradizione. Il rispetto e la tutela delle piccole produzioni locali sono una prospettiva importante non solo per il consumatore ma anche per il produttore. È importante reimpostare un’economia che vada verso questa capacità di tutelare le piccole produzioni locali. Ci vorrebbero provvedimenti di tipo politico al servizio del cittadino e dovremmo alimentare questa conoscenza attraverso corsi come questo”.

 

Cosa pensa del progetto NECTAR? Cosa suggerisce al team del progetto internazionale?

 

“Se riesce nella sua finalità di distillare conoscenze appropriate sul territorio, questo corso ha una sua pregiatezza. Chi partecipa a un corso come questo aspira ad avere una conoscenza del cibo di qualità che non è diffusa. Questa progettualità in Campania è la strada giusta. Ci potrebbe portare verso una nuova prospettiva, che ci porterà ad avere: una qualità delle produzioni che si impone per la sua importanza; una salubrietà nelle nostre produzioni locali che, messa al servizio del cittadino, gli garantisce salute e benessere; una produzione che, diffusa sul territorio, non lascia alcune aree depresse nella condizione in cui si trovano, come le aree interne, che potrebbero svilupparsi reintroducendo una zootecnia di qualità. Bisogna cogliere queste opportunità, e farlo insieme attraverso queste conoscenze internazionali sia molto significativo”.

 

Al corso dell’ITS BACT lei sta insegnando un modulo molto interessante sull’Applicazione del sistema di autocontrollo per la sicurezza dei prodotti alimentari. Ci racconta in breve argomenti e obiettivi del suo modulo?

 

“Avere oggi un operatore che sia consapevole della qualità delle proprie produzioni è un elemento significativo. Una consapevolezza che deriva dalla conoscenza del prodotto che si propone al cittadino, e che garantisce una scelta di materie prime di altissimo pregio. Non è pensabile avere una produzione che punti alla qualità di un cibo sano senza partire da una scelta minuziosa che tenga fuori dalle tavole microrganismi, contaminazioni, alterazioni. E per fare questo serve una conoscenza di chi manipola il cibo. Il cibo non può essere proposto al consumatore senza uno studio alle spalle che preveda l’alta qualità delle produzioni e delle  materie prime, dalla conservazione alla trasformazione fino al trasferimento".

 

 

Gli enormi cambiamenti che hanno interessato il sistema alimentare, caratterizzato non più dallo stretto rapporto tra produzione e consumo ma da un forte utilizzo di prodotti conservati e da una distribuzione di prodotti su grandi distanze, costringono l’Europa ad attrezzarsi per mettere in campo strutture e metodologie in grado di garantire la sicurezza degli alimenti, a partire dal prodotto grezzo fino a quello confezionato. Quali sono ad oggi i punti critici del rischio alimentare? E in particolar modo, quali sono ad oggi le minacce per la salute umana e animale?

 

“Non è tutto vero che quello che ti arriva da fuori sia in una condizione di rischio per la salute, e non è vero che tutto quello che è fresco è sicuro. Noi abbiamo un sistema con una rete di epidemiosoverglianza che tutela il consumatore ogni giorno a tavola. Abbiamo sistemi di allerta europei, come il RASFF, l’EFSA. Abbiamo strutture pubbliche che riescono a garantire il consumatore. L’elemento che più garantisce il consumatore è però la tracciabilità. Sei più garantito quando ti arriva un cibo a tavola e hai la possibilità di determinare il percorso. Quando il cibo arriva da un’altra parte del mondo la tracciabilità di quel cibo si affievolisce, e bisogna cercare criticità ripetute nell’analita per sapere il rischio per la salute. Questa condizione potrebbe servire a fare in modo che le piccole produzioni locali abbiano maggiore rilevanza, soprattutto se si preoccupano di costruire una tracciabilità per garantire in modo chiaro e trasparente il consumatore. Non farlo sarebbe molto deleterio".